Storia degli scavi di pompei - A Pompei

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Storia degli scavi di Pompei

Dopo la violenta eruzione del 79 d.C. il Vesuvio, pur restando un vulcano attivo, è rimasto tranquillo per secoli, sino ai giorni nostri.

Pompei ebbe difficoltà a risorgere per un lungo periodo di tempo perché la gente, temendo per la propria incolumità, preferiva trasferirsi altrove, anzi si recava sul luogo solo alla ricerca di eventuali tesori sepolti.

Alessandro Severo
Già pochi anni dopo l’eruzione, l’Imperatore romano Alessandro Severo dispose lavori di scavo nell’area in cui sorgeva l’antica Pompei ma, a causa della fitta coltre di ceneri e lapilli, il tentativo fallì.

Tra il 1594 ed il 1600, durante i lavori di costruzione di un canale di bonifica, per lo sfruttamento delle acque del fiume Sarno, furono rinvenute monete e resti di edifici affrescati: tuttavia non si capì che si trattasse dell’antica città romana, di conseguenza, non si continuò a scavare.

Carlo I di Borbone
I primi, seppur affrettati, scavi nell’area antica iniziarono nel 1748 sotto il regno di Carlo I di Borbone, anche se l’intento era quello di riportare alla luce oggetti di valore destinati ad abbellire la residenza reale.

Furono ritrovati reperti ritenuti di scarso interesse archeologico (monete, statue, affreschi e uno scheletro) e furono individuate una parte dell’Anfiteatro e la Necropoli di Porta Ercolano: gli esploratori erano però convinti di essere sulle tracce dell’antica Stabia. Quest’ultimi capirono di essersi imbattuti in Pompei solo quando nel 1763 fu scoperta un’epigrafe in cui veniva chiaramente menzionata la "Res Publica Pompeianorum".

Le prime esplorazioni si svolgevano tramite la creazione di cunicoli sotterranei; le pitture e i mosaici ritenuti interessanti venivano staccati dai muri degli edifici e originariamente conservati alla Reggia di Portici, mentre i reperti non interessanti venivano distrutti o seppelliti nuovamente.

Ferdinando Primo
Con la salita al potere nel Regno delle Due Sicilie di Ferdinando I, furono eseguiti a Pompei i primi scavi a cielo aperto: nel periodo compreso tra il 1759 e 1799 fu riportata alla luce parte della città che, dopo l’esplorazione non veniva più riseppellita ma lasciata in vista; i reperti ritrovati, soprattutto gli affreschi parietali, non venivano più rimossi e trasferiti alla Reggia di Portici ma conservati sui muri; infine si iniziò a registrare e a descrivere tutti i ritrovamenti fatti nella zona vesuviana.

Notevole impulso fu dato agli scavi nel corso della prima metà dell’Ottocento: vennero riportati alla luce la maggior parte degli edifici pubblici (Foro, Basilica, Teatri) e numerose abitazioni di notevole interesse architettonico (tra cui la casa di Sallustio, di Pansa, del Fauno); si iniziò a produrre una nuova forma di documentazione, quella fotografica, anche se il suo utilizzo era limitato a scopi turistici e non anche a quelli di studio e restauro.

Giuseppe FiorelliCalchi in gesso
Con l’unità d’Italia ci fu un repentino cambiamento nelle opere di scavo grazie all’archeologo Giuseppe Fiorelli, a cui fu affidata la direzione nel 1860 e fino al 1875: innanzitutto in base alla rete stradale, tutto l’abitato fu suddiviso in nove regioni e ogni regione in isolati (insulae), attribuendo un numero progressivo ai vani d’ingresso di ogni isolato; fu introdotta la tecnica dei calchi, ossia si faceva colare il gesso negli spazi vuoti lasciati dalla decomposizione dei materiali organici, ottenendo così le impronte dei corpi di persone e animali, delle piante e degli oggetti della vita romana; infine, in alcune abitazioni furono ricostruiti i tetti e le mura, secondo l’antica disposizione, per evitare danni agli affreschi e ai mosaici, sempre più spesso conservati al loro interno piuttosto che asportati.

Vittorio Spinazzola
Negli anni seguenti l’opera di restauro e ripristino della città antica fu condotta con mezzi sempre più efficienti: attraverso metodi di scavo meno invasivi, Vittorio Spinazzola, direttore dei lavori dal 1911 al 1923, scoprì che molte abitazioni, situate soprattutto nella Via dell’Abbondanza erano dotate del piano superiore destinato alla vita privata mentre il piano terra accoglieva botteghe e officine.

Amedeo Maiuri
Dopo l’interruzione causata dallo scoppio della prima guerra mondiale, gli scavi furono ripresi nel 1924 con il nuovo direttore Amedeo Maiuri, che vi si dedicò appassionatamente per ben 37 anni: in questo lungo arco di tempo portò alla luce i 3/5 della città e condusse studi stratigrafici utili per la ricostruzione cronologica di Pompei.

Si iniziò a usare la fotografia come mezzo di studio e non più solo a scopo turistico; le tecniche di scavo divennero più precise e tutti gli elementi asportati, come tetti, finestre e porte, rimossi per evitare crolli agli edifici, venivano poi riposizionati al loro posto una volta terminata l’esplorazione.

Dal secondo dopoguerra in poi le attività di scavo subirono una brusca frenata, sia per la continua insufficienza di fondi economici sia perché era più urgente la conservazione del patrimonio archeologico recuperato, che continuamente subiva danni o crolli causati prima dal terremoto dell’Ottanta in Iripinia e poi dalle condizioni meteorologiche avverse.

Per far fronte all’emergenza, l’Unione Europea stanziò 105 milioni di euro per il totale restauro del sito: i lavori cominciarono nel 2012 sotto il nome di "Grande Progetto Pompei", con il compito di ridurre il rischio idrogeologico all’interno del parco, consolidare le strutture murarie e restaurare quelle con decorazioni, perfezionare l’impianto di videosorveglianza e creare delle coperture ai monumenti in modo da permettere l’accesso ai turisti.

Grazie all’opera di scavo, Pompei antica è risorta quasi completamente diventando un sito archeologico di importanza mondiale: è il secondo monumento italiano per visite dopo il sistema museale del Colosseo, Foro Romano e Palatino e, con decreto del 1997, insieme a Oplonti ed Ercolano, è stata iscritta nell’albo dei siti che sono ritenuti Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO.

Il Comitato ha deciso di iscrivere tale area sulla base di criteri culturali considerando che gli straordinari reperti della città di Pompei e delle città limitrofe, sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., costituiscono una testimonianza completa e vivente della società e della vita quotidiana in un momento preciso del passato, e non trovano il loro equivalente in nessuna parte del mondo.

Pompei e soprattutto l’eruzione che ha interessato la città sono al centro di numerose opere artistiche, letterarie e cinematografiche.

Uno dei più celebri dipinti ispirati all’eruzione del Vesuvio è "Gli ultimi giorni di Pompei", dipinto fra il 1827 e il 1833 dal pittore russo Karl Pavlovic Brjullov, a sua volta ispirato dall’omonima opera di Giovanni Pacini.

Tra i romanzi, principale è quello del 1834 di Edward Bulwer-Lytton, intitolato "Gli ultimi giorni di Pompei"; uno del 1852 scritto da Théophile Gautier e intitolato "Arria Macerella"; una serie di romanzi per bambini scritti da Caroline Lawrence e intitolati "I misteri romani"; un altro chiamato "Pompei" e scritto da Robert Harris nel 2003, il quale narra le vicende di un dipendente dell’acquedotto del Serino: nella storia compaiono anche Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane e viene fatto riferimento alla piscina mirabilis di Bacoli. Riferimenti a Pompei vengono fatti anche nel primo libro del Cambridge Latin Course dove viene narrata la storia di un uomo residente a Pompei, Lucius Caecilius Iucundus, vissuto durante il periodo di Nerone e Vespasiano, morto, insieme alla sua famiglia, a seguito dell’eruzione del Vesuvio.

Tanti i titoli di film che si sono ispirati al romanzo di Edward Bulwer-Lytton e tutti chiamati "Gli ultimi giorni di Pompei": quello del 1900 diretto da Walter R. Booth, quello del 1913 diretto da Mario Caserini, quello del 1926 diretto da Carmine Gallone, e ancora, uno del 1935 diretto da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack, uno del 1950 diretto da Marcel L’Herbier e Paolo Moffa e uno del 1959 in principio diretto da Mario Bonnard e poi concluso da Sergio Leone, girato tra Madrid e gli studi di Cinecittà a Roma; dello stesso titolo è inoltre una miniserie del 1984, mentre un’altra chiamata "Pompei" è stata realizzata nel 2007 per la regia di Giulio Base e protagonisti Lorenzo Crespi e Andrea Osvárt. Altro film del 2014, anticipato da un documentario prodotto dal British Museum, intitolato "Pompei", del regista Paul William Scott Anderson, incentra la trama su una storia d’amore, terminata con la morte dei protagonisti a seguito della furia eruttiva; nella serie "Doctor Who", nell’episodio "Il Fuoco di Pompei", i protagonisti scoprono che l’eruzione è stata causata per evitare un’invasione aliena.

In una canzone del 2013, "Pompeii", del gruppo britannico Bastille, è narrata la storia di un uomo di Pompei in cerca di salvezza dall’eruzione del Vesuvio.
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