Tecnica ed Arte Pompeiana
Gli stili architettonici impiegati negli immobili pompeiani sono quelli classici, visibili per i caratteristici capitelli delle colonne: dorico (a forma anulare e privo di decorazioni); ionico (con decorazioni e grandi volute agli angoli); corinzio (con decorazioni di alte foglie di acanto); composito (fusione del corinzio e dello ionico). Spesso assumono anche particolarità proprie radicate soprattutto nella tradizione sannitica.
I tipi di costruzione variano in ogni epoca, evidenziando così le date di inizio e degli ampliamenti o rifacimenti di ciascun edificio.
Durante il periodo sannitico, in un primo momento (IV-III sec. a.C.) l’opera era quadrata e incerta, poi (200-80 a.C.) si passa a costruzioni con blocchi di tufo.
Nel periodo romano (80 a.C.-14 d.C.) le costruzioni sono realizzate con pietre irregolari e blocchetti quadrati messi a reticolato diagonale. Infine, nell’ultimo periodo romano (14-79 d.C.) si introducono costruzioni in mattone.
Nel 1882 August Mau, studioso tedesco, in un trattato distinse quattro tipi di stili o, per meglio dire, schemi decorativi nella pittura delle pareti delle abitazioni pompeiane, corrispondenti ad altrettanti periodi.
Primo Stile Pompeiano
Il primo stile, detto a falsa incrostazione o strutturale è il più antico: si diffuse, infatti, nel periodo sannitico (150-80 a.C.); è caratterizzato dall’imitazione del rivestimento con lastre di marmo colorato (detto "incrostazione"), ottenuto realizzando rilievi in stucco (v. atrio della Casa di Sallustio, l’exedra della Casa del Fauno, la Basilica e il Tempio di Giove).
La parete viene divisa in tre parti: uno zoccolo o plinto decorato come il rivestimento di grandi lastre di marmo, di solito di colore giallo; una parte centrale decorato con blocchi di pietra squadrati e tinteggiati con colori accesi (rosso, nero, viola, giallo, verde ad imitazione del marmo, alabastro, porfido, granito); una fascia superiore decorata con una cornice aggettante di stucco.
Talvolta le pitture contengono piccoli elementi architettonici come lesene o semicolonne per la divisione verticale delle superfici.
Secondo Stile Pompeiano
Il secondo stile detto architettonico (diffuso tra l’80 a.C. e il 14 d.C.) è caratterizzato per la presenza di grandi architetture dipinte a trompe d’oeil (termine francese, la cui traduzione è propriamente "inganna l’occhio") su tutta l’estensione della parete.
Tipicamente, questi trompe l’oeil architettonici comprendono portici, edicole, porte, finestre e colonnati che si aprono su vedute prospettiche: si dà così l’illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali che sono però dipinti su una superficie bidimensionale e di percepire lo spazio interno di un ambiente come se fosse più vasto.
Esistono due varianti di questo stile, di cui parla anche Vitruvio, architetto romano, nel libro in cui descrive la pittura degli "antichi": le pitture di paesaggi che rappresentano in modo molto fedele giardini, porti di mare, coste, fiumi, montagne, boschetti, edifici; e le cosiddette megalografie, cioè cicli pittorici figurativi, spesso con personaggi a grandezza naturale, ispirati alla grande pittura ellenistica (v. Casa di Obelio Firmo, l’oecus della Casa del Labirinto e delle Nozze d’argento, Casa del Criptoportico, la sala corinzia della Villa dei Misteri).
Terzo Stile Pompeiano
Il terzo stile detto egittizzante o ornamentale è nato sotto l’imperatore Augusto (14-62 d.C.) si differenzia dal precedente per una minore ricchezza figurativa.
La tipica parete in terzo stile appare caratterizzata da una serie di pannelli in tinta unita (neri, rossi, bianchi, gialli o, assai più raramente, azzurri), al centro dei quali erano raffigurati piccoli quadretti (detti con termine greco "pinakes") o medaglioni con scenari paesaggistici, scene mitologiche, volti umani o nature morte. I pannelli monocromi e sopratutto la parte alta delle pareti sono inoltre arricchiti da nastri, candelabri, ghirlande di fiori, bordi di tappeto o piccole figure isolate come ad esempio ninfe, satiri e amorini (v. Casa di Lucrezio Frontone, il tablino della Casa di Cecilio Giocondo o il triclino di Amandus).
Quarto Stile Pompeiano
Il quarto stile, detto fantastico risale all’età neroniana (62-79 d.C.) ed è molto scenografico in quanto vengono ripresi, fondendoli, gli elementi tipici del secondo e terzo stile.
La parete è divisa verticalmente in:
zoccolo o basamento, generalmente decorato a imitazione di rivestimenti marmorei o contenente motivi di ispirazione vegetale o fregi figurativi;
parte centrale, in cui ricompaiono i grandi pannelli monocromi tipici del terzo stile, al cui centro campeggia però un quadro figurativo di notevoli dimensioni (quasi sempre a soggetto mitologico); il pannello centrale è generalmente affiancato dagli scorci architettonici tipici del secondo stile, spesso riletti in chiave fantastica (le architetture rappresentate sono cioè completamente irreali, con nicchie ed edicole sorrette da esili piedistalli, spesso costituiti da candelieri o addirittura steli vegetali);
parte superiore, destinata solitamente alle raffigurazioni di architetture, paesaggi e vedute prospettiche. Ancora una volta festoni di fiori, ghirlande, nastri, bordi di tappeto e piccole figure isolate (sedute sui cornicioni delle architetture fantastiche, affacciate dalle porte dipinte o addirittura isolate al centro dei pannelli laterali) completano e arricchiscono ulteriormente l’insieme (v. il triclinio della Casa dei Vettii, degli Amanti, del Menandro, di Loreio Tiburtino).
E’ interessante sapere che, secondo recenti studi di ricerca, nella Pompei antica le case e gli edifici pubblici decorati con il famoso "rosso pompeiano" erano decisamente meno numerose rispetto a quelle in cui le pareti sono attualmente percepite come rosse: in quest’ultime il caratteristico colore rosso era in realtà un giallo ocra (pigmento ottenuto dalla lavorazione di terre facilmente reperibili a prezzi contenuti) che per effetto dell’emissione di gas ad elevata temperatura, che precedette l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. si era appunto modificato in rosso. Questo effetto si può percepire anche ad occhio nudo nelle crepe che si sono prodotte sulle pareti rosse di Pompei e di Ercolano ed era già noto agli antichi: infatti Plinio, in una sua opera, avevano spiegato che dall’ocra gialla si può ottenere quella rossa arroventandola nei forni.
Originariamente il rosso era ottenuto dagli scarti di lavorazione del cinabro, un minerale da cui si estrae il mercurio ma, dato l’elevato costo di produzione, veniva impiegato con moderazione. In epoca romana cominciò ad essere utilizzato per decorare soprattutto le pareti delle sfarzose ville di ricchi proprietari.
Poichè il cinabro contiene notevoli quantità di mercurio che è altamente tossico per la salute umana, il colore è stato gradualmente sostituito dall’ocra rossa, un pigmento inorganico naturale derivante dall’ematite naturale (minerale di ferro).